A Sua Eminenza il cardinale Alfred Bengsch, Arcivesco­vo di Berlino

Eminenza,

la visita da Voi effettuata nella nostra Patria nei giorni 22-26 agosto 1975, pur inattesa, è stata per tutti i credenti una sorpresa assai gradita. Non solo abbiamo potuto vedere il Vostro volto sorridente e sentire le Vostre calde parole di fede, ma abbiamo anche sentito rinascere in noi la spe­ranza che un maggior numero di informazioni obbiettive sulla situazione della Chiesa cattolica in Lituania raggiunga la Sede Apostolica e il mondo intero.

Per quanto ce lo hanno permesso i disturbi radiofonici, l'anno scorso abbiamo seguito con attenzione gli interventi dei cardinali Wyszinski, Slipij e Vostro al Sinodo dei vesco­vi a Roma. Ci siamo così resi conto che Voi avete un gran­de cuore ed un coraggio veramente cristiano nella difesa di chi è perseguitato a motivo di Dio e della Chiesa. Ci sia­mo convinti che Voi volete e siete capace di comprendere la nostra sventura e le nostre preoccupazioni.

Fino all'ultimo momento la data precisa del Vostro arri­vo in Lituania è stata tenuta nascosta, sia al clero che ai cre­denti. Di ciò non vennero informati nemmeno i vescovi li­tuani in esilio: J. Steponavičius e V. Sladkevičius. Della Vostra visita alla basilica di Kaunas venne data notizia sol­tanto la sera precedente, mentre i sacerdoti della provincianon ne hanno saputo nulla. Il programma della Vostra vi­sita è stato affidato dal governo ad alcuni sacerdoti « leali », e costoro, a quanto pare, non l'hanno deluso. Non Vi è sta­to permesso di avvicinare nessuno di coloro che avrebbero potuto spiegarvi molte cose sulla reale situazione della Chie­sa in Lituania. Non vi hanno mostrato le chiese profanate; ma Vi hanno portato a Pirčiupis* (per dovere di obbiettività, bisognerebbe ricordare che in Lituania non vi sono soltanto i cimiteri delle vittime dei nazisti, ma anche quelli delle vit­time dei sovietici: a Pravieniškės, nel bosco di Rainiai e al­trove).

A Panevėžys non fu permesso di cantare, per non creare troppa impressione e non attirare l'ira del governo. A Kau­nas non è stato consentito di appendere sulla porta della basilica il ritratto del Santo Padre e di venirVi incontro un po' prima della porta della chiesa. Tuttavia, nonostante gli sforzi del governo e dei suoi uomini di fiducia, migliaia di credenti sono convenuti per onorarVi e per testimoniare la loro fedeltà alla Chiesa e alla Sede Apostolica.

Noi Vi chiediamo scusa a nome del clero e dei credenti della Lituania per la mancanza di tatto nei Vostri confronti nel corso della visita (il caso di Pirčiupis) e perchè non ab­biamo potuto accogliervi come avremmo voluto. Dato che non abbiamo potuto esporVi personalmente le sofferenze della Chiesa cattolica in Lituania, intendiamo farlo ora, at­traverso le pagine della « Lietuvos Kataliku Bažnyčios Kro­nika ».

 

Breve cronistoria della persecuzione staliniana

Non appena l'armata rossa ebbe varcato i confini della Lituania nel 1940 ebbe immediatamente inizio la perse­cuzione della Chiesa cattolica. Il 2 luglio vennero rotte le relazioni diplomatiche con la Sede Apostolica e denun­ciato il concordato. Vennero soppresse tutte le organizza­zioni cattoliche, nazionalizzate le scuole cattoliche, vietata la stampa cattolica e la pubblicazione di libri. Le comu­nità religiose furono disperse; dei quattro seminari eccle­siastici esistenti nel paese ne venne lasciato aperto unosolo (quello di Kaunas), i locali del quale però vennero requisiti nel corso dell'anno scolastico 1940-1941. Gli espo­nenti del governo sovietico dichiararono al vescovo V. Brizgys che non si devono ingannare i giovani e che entro 5 anni i vescovi stessi avrebbero supplicato il governo so­vietico di concedere loro un lavoro.

Vedi la nota a p. 309. (NdT)

 

Il 14 giugno 1941 venne dato inizio alla deportazione in massa dei lituani in Siberia. In poco tempo circa 35.000 persone furono deportate in carri bestiame; gli uomini erano stati separati dalle loro famiglie. La maggior parte di questi deportati ha trovato la morte nell'arcipelago Gulag.

Successivamente l'Armata Rossa in ritirata massacrò molti credenti, non trascurando nemmeno il clero. Ad esempio a Lankeliškiai vennero trucidati i sacerdoti Dabrila, Pe­triką e Balsys; a Pusnė il rev. V. Balčius; a Merkinė, A. Juknevičius.

Il 7 luglio 1946 venne arrestato l'arcivescovo di Vilnius Mečislovas Reinys, il quale morì l'8 novembre 1953 nelle carceri di Vladimir. Nell'autunno dello stesso anno fu tratto in arresto il vescovo di Telšiai, Borisevičius, che venne fucilato l'anno successivo. Il 18 dicembre 1948 furono ar­restati il vescovo di Kaišedorys, Teofilius Matulionis e il suo vicario generale Juozapas Labukas e, poco più tardi, il vescovo coadiutore di Telšiai, Pranciškus Ramanauskas. Rimase libero soltanto il vescovo di Panevėžys, Kazimieras Paltarokas.

Molti lituani vennero nuovamente deportati a più ripre­se in Siberia e altri condannati a pene detentive lunghissi­me, fino a 25 anni. La maggior parte di essi, più tardi, fu riabilitata.

Il 13 settembre 1946, dietro ordine dell'incaricato dei culti religiosi, Gailevičius, il numero dei chierici del Se­minario ecclesiastico di Kaunas, l'unico ancora funzionante, venne ridotto da 300 a 150. Più tardi questa cifra venne progressivamente ridotta fino a 25 alunni. Attualmente il governo sovietico, dietro le pressioni dell'opinione pubbli­ca mondiale, ha aumentato fino a 50 il numero dei semi­naristi.

   A seguito della scomparsa dell'amministratore dell'arcidiocesi di Kaunas, monsignor St. Jakubauskas, venne eletto al suo posto il canonico J. Stankevičius. Dopo l'arresto av­venuto nel 1949 dell'amministratore della diocesi di Vil­kaviškis, canonico Vizgirda e dell'amministratore della dio­cesi di Kaišedorys, monsignor Br. Sužiedėlis, egli divenne amministratore anche di queste due diocesi per volontà del governo.

Nel 1950 l'incaricato dei culti religiosi, Pušinis, si lasciò sfuggire che per i sacerdoti sarebbe stato creato un appo­sito lager: un'azienda di pesca nella quale avrebbero lavo­rato circa 200 preti tra quelli più zelanti. Pušinisdichiarò che nel volgere di due anni della Chiesa in Lituania sareb­bero restate soltanto « ragučiai ir nagučiai » (le corna e le unghie). E infatti molte chiese vennero chiuse, ed alcune centinaia di sacerdoti partirono per l'arcipelago Gulag.

Negli anni 1949-50 l'ufficio per i culti religiosi di Mo­sca, diretto da Poljanskij, cercò di costringere il clero della Lituania a firmare un documento di condanna del Ponte­fice Pio XII. Tuttavia questo tentativo fallì, perchè su 1.000 sacerdoti soltanto 19 accettarono di firmare.

Già nel 1946, in base ad una disposizione governativa, si iniziò la costituzione dei comitati parrocchiali, che sareb­bero dovuti poi divenire gli unici padroni delle parrocchie, mentre i sacerdoti erano considerati soltanto degli inser­vienti del culto. Infatti ancora oggi sul loro passaporto so­vietico spicca la dizione « servo del culto ».Tuttavia, a seguito della ferma opposizione del clero, il governo sovie­tico non è riuscito finora ad organizzare come vorrebbe il funzionamento dei comitati parrocchiali; però non ha ancora rinunciato all'idea. Il governo vuoleche tutti i sacer­doti della Lituania arrivino a dipendere totalmente dai co­mitati parrocchiali, i quali, a loro volta, dovrebbero ese­guire ciecamente gli ordini dei funzionari sovietici. Ad esempio in Bielorussia i membri del comitato della chiesa sono obbligati a non consentire l'accesso in chiesa ai ragazzi, a comunicare al governo i nominativi delle persone che ri­corrono ai servizi religiosi, eccetera.

Dopo il « disgelo »; le sue conseguenze

   Dopo la morte di Stalin rientrarono in patria dai lagermolti credenti, diversi sacerdoti e anche due vescovi: T. Matulionis e Pr. Ramanauskas. Il clima di terrore si atte­nuò e la vita pastorale divenne più attiva. Il governo per­mise perfino la consacrazione di due nuovi vescovi:Julijo­nas Steponavičius e Petras Maželis. A prima vista poteva sembrare che si stesse cercando di riparare, almeno parzial­mente, ai danni arrecati alla Chiesa. In realtà gli scopi del governo sovietico non erano mutati, era cambiata soltanto la tattica. Onde non evocare un'atmosfera di martirio ricor­rendo a brutali persecuzioni, si prese a combattere la fede in Lituania con mezzi più subdoli, utilizzando per quest'opera perfino gli stessi sacerdoti.

Al fine di piegare i sacerdoti di spirito più debole, i sa­cerdoti più zelanti vennero nuovamente arrestati e inviati nei lager della Mordovia. Nel 1957 il vescovo Vincentas Sladkevičius, che era stato consacrato senza l'autorizzazione del governo, venne esiliato a Nemunėlio Radviliškis.

Nel 1961 fu il vescovo Julijonas Steponavičius a dover prendere la via dell'esilio, venendo relegato a Žagarėsol­tanto per aver adempiuto coscienziosamente ai propri do­veri pastorali. Nel 1957 il vescovo T. Matulionis stava ac­cingendosi a riprendere nelle proprie mani l'amministra­zione della diocesi di Kaišėdorys, fino ad allora retta dal canonico J. Stankevičius. Ma il governo non glielo permi­se, ed egli fu esiliato a Šeduva, nella diocesi di Panevėžys. Sacerdoti poco attivi e « leali » al governo sovietico vennero destinati gradualmente a ricoprire le cariche di ammi­nistratore diocesano e di vicario foraneo, e — con qualche eccezione — di parroco nelle grandi parrocchie.

Nelle elezioni degli amministratori diocesani si ricorre­va talvolta anche all'inganno. Ad esempio quando si doveva eleggere l'amministratore della diocesi di Kaišėdorys, ven­ne comunicato al capitolo che i vescovi T. Matulionis e V. Sladkevičius avevano manifestato il desiderio che ve­nisse eletto il canonico P. Bakšys. In realtà i vescovi si erano espressi in senso esattamente contrario, ammonendo di non eleggere il canonico P. Bakšys alla carica di ammi­nistratore diocesano.

L'incaricato del Consiglio per gli affari religiosi, Rugie­nis, già capo della Sicurezza di Kėdainiai, terrorizzava brutalmente gli amministratori delle diocesi e i sacerdoti. Il canonico J. Stankevičius ricevette più volte lunghe visite di vari funzionari della Sicurezza dello Stato e del Consiglio per gli affari religiosi che cercavano di costringerlo a fare delle concessioni illecite. In seguito a ciò la curia di Kau­nas inviò una dopo l'altra diverse circolari al clero, per informare che il Consiglio per gli affari religiosi vietava di visitare i fedeli, di preparare i bambini alla Prima Co­munione, di far servire loro la Messa, di benedire le croci erette dai credenti, eccetera.

Nel lavoro pastorale è venuto così a crearsi un clima di accondiscendenza verso il governo. Gli amministratori del­le diocesi hanno cominciato a considerare sacerdoti esem­plari coloro che mostrano di saper « convivere con il go­verno », cioè i preti che eseguono supinamente le direttive dei funzionari governativi, guardando con indifferenza ai doveri sacerdotali e cercando di ingraziarsi sia il governo ecclesiastico che quello civile.

Attualmente in Lituania la Chiesa cattolica viene com­battuta con il sistema già sperimentato in Russia; si cerca cioè di piegarla agli interessi del governo sovietico. I me­todi principali di questa lotta sono i seguenti.

Ai posti dell'alta gerarchia ecclesiastica vengono collo­cati elementi acquiescenti a tutte le imposizioni del gover­no ateista. Ad esempio il rettore del Seminario ecclesiastico rev. dr. V. Butkus trascura i suoi doveri principali e va in continuazione, per scopi politico-propagandistici, alle confe­renze dei sostenitori della pace organizzate dai comunisti. Da parte sua l'amministratore dell'arcidiocesi di Vilnius, mons. C. Krivaitis, durante una sua recente visita negli Stati Uniti ha dichiarato il falso sull'odierna situazione della Chiesa in Lituania, eseguendo in tal modo il compito affi­datogli dal Consiglio per gli affari religiosi.

La destinazione dei sacerdoti alle parrocchie avviene in modo che i credenti vengano assistiti nel modo peggiore possibile. Ad esempio dopo la morte del parroco della gran­de parrocchia di Alytus, diocesi di Vilkaviškis, il vescovo per ben tre mesi non riuscì a trovare un candidato gradito al governo. Alla fine vi venne destinato il rev.L. Kavoliūnas, di salute assai cagionevole.

 

Le destinazioni dei sacerdoti alle parrocchie vengono fatte dal comitato per la Sicurezza dello Stato tramite l'incaricato del Consiglio per gli affari religiosi.

 

La presunta « normalità » della situazione

La Sede Apostolica e il mondo sono disinformati sulla reale situazione della Chiesa in Lituania anche grazie agli alti ecclesiastici, i quali nello stesso tempo si squalificano agli occhi dei sacerdoti e dei credenti. Così è successo con mons. C. Krivaitis, mons. Barauskas ed altri.

La Sede Apostolica può essere tratta in inganno persino dalle lettere pastorali dei vescovi. Nel 1973 il vescovo J. Labukas emanò una lettera siffatta. Vi si diceva che i sacer­doti giovani e zelanti sarebbero stati destinati in parroc­chie grandi e che quelli anziani o malfermi in salute sa­rebbero stati assegnati a parrocchie piccole. In Lituania è noto a tutti che il vescovo non può destinare liberamente i sacerdoti alle loro sedi. Infatti subito dopo la pubblica­zione di questo documento il giovane e attivo parroco di Garliava., rev. P. Dumbliauskas, venne inviato dietro or­dine del governo alla piccola parrocchia di Šunskai, e fu no­minato al suo posto un sacerdote anziano e che non si distingueva particolarmente per il suo impegno pastorale.

Per ragioni puramente propagandistiche viene permesso a taluni sacerdoti di recarsi all'estero. Infatti anche per l'Anno Santo il viaggio di alcuni sacerdoti a Roma non è stato organizzato dai capi della Chiesa ma dal Consiglio per gli affari religiosi, che ha scelto i candidati con la collaborazione dei funzionari della Sicurezza dello Stato, li ha convocati ed ha ordinato loro di compilare gli appo­siti moduli. Ciò è stato confermato chiaramente anche dal­lo stesso incaricato del Consiglio per gli affari religiosi, K. Tumėnas. Poiché il parroco di Krekenava, mons. Dulk-snys, aveva declinato l'invito a recarsi a Roma, Tumėnas disse al vescovo di Panevėžys, R. Krikščiūnas: « Se non andrà, verrà dimesso dalla carica di parroco ».

Gli ecclesiastici in partenza dalla Lituania per Roma ricevono ogni volta dettagliate istruzioni dal governo e al loro ritorno devono presentare una relazione scritta. Ecco quanto scrive al riguardo nel suo diario dal titoloI crocevia della mia vita il defunto canonico J. Stankevi­čius: « ... noi ci recavamo in Vaticano. La direttiva prin­cipale era questa: bisogna condurre ogni cosa in modo che torni di utilità all'Unione Sovietica e di danno per la Chiesa cattolica... Noi dovevamo dimostrare in ogni occa­sione, direttamente o indirettamente, quali vantaggi aveva­mo arrecato all'Unione Sovietica e quale danno avevamo pro­curato alla Chiesa cattolica... L'utilità apportata all'Unione Sovietica si misurava e si giudicava dalla misura del dan­no da noi arrecato alla Chiesa cattolica ».

I sacerdoti che sono andati a Roma quest'anno affer­mano di non aver dovuto presentare alcun resoconto al go­verno al loro ritorno. Tuttavia alcuni di loro hanno cer­cato di convincere i lituani residenti all'estero che la LKBkronika non riporta tutta la verità, e che a causa di questa pubblicazione anche i sacerdoti onesti devono su­bire spiacevoli conseguenze, e così via.

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Per dimostrare al mondo la « libertà di stampa » che esiste in Lituania il governo sovietico ha fatto pubblicare per i cattolici del paese I decreti del Concilio Vaticano, il Rituale, il Nuovo Testamento I salmi, ma tutti con una tiratura insignificante. Inoltre gran parte di queste pubblicazioni è stata inviata all'estero per ragioni propagan­distiche. Per le esigenze dei cattolici non vengono pubbli­cati nemmeno i catechismi, anzi per avere stampato clan­destinamente catechismi e libri di preghiere i credenti ven­gono chiusi in carcere, come è accaduto ad esempio aPo­vilas Petronis, a Jonas Stašaitis e ad altri.

La gerarchia della Chiesa viene costretta a pronunciarsi contro i sacerdoti e i laici che lottano attivamente per i diritti della Chiesa. Nel 1972 dietro ordine del governo gli amministratori delle diocesi della Lituania emanarono una lettera pastorale di condanna del Memorandum firmato da 17.000 cattolici lituani, che aveva rivelato la verità sulla situazione della Chiesa cattolica in Lituania, e di bia­simo per chi aveva promosso l'iniziativa. Poiché la reli­gione è perseguitata, una parte dell'opera pastorale viene svolta in condizioni catacombali e il governo sovietico, non riuscendo a controllarla, ha motivo di temerla. Quanto più viene repressa la vita ufficiale della Chiesa, tanto più si intensifica l'opera pastorale clandestina. Alcuni sa­cerdoti ispirati dal governo si sforzano di presentare ta­le attività come dannosa, come disgregatrice dell'unità della Chiesa e dei normali rapporti tra la Chiesa e lo Stato. In effetti se in Lituania in questo momento la Chiesa cat­tolica non si adattasse ad una situazione catacombale an­drebbe incontro al destino della Chiesa ortodossa russa, la quale sta per essere soffocata.

Il governo sovietico si preoccupa altresì che la Sede Apostolica approvi il comportamento dei sacerdoti osse­quienti ai suoi ordini. I sacerdoti della Lituania sono con­vinti che soltanto perché male informata la Sede Apostolica ha potuto nominare monsignori dei sacerdoti quasi tutti ossequienti al governo: il sac. P. Bakšys, il canonico Ba­rauskas, il canonico C. Krivaitis ed altri. *

In tal modo i sacerdoti attivi e dediti con tutto il cuore alla Chiesa sono stati disarmati psicologicamente.

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La stampa, la radio, la televisione e in modo particolare gli opuscoli destinati all'estero, come ad esempioReligion in Lithuania di J. Rimaitis, parlano molto della libertà di coscienza in Lituania, del rispetto dei diritti dei credenti, eccetera. Ma oggi soltanto i kolchoziani e gli operai posso­no frequentare le cerimonie religiose senza correre eccessi­vi rischi. Gli intellettuali viceversa vengono spesso ammo­niti dai dirigenti nel corso di colloqui privati sul posto di lavoro a non frequentare la chiesa per non avere noie sul lavoro. Quindi sono costretti a tenere nascoste le loro convinzioni ed a compiere i loro doveri religiosi soltanto in segreto.

Gli stranieri che arrivano in Lituania non vedono certo davanti alle porte delle chiese dei poliziotti che impedi­scano alla gente di entrarvi, perché ciò nuocerebbe allapropaganda sovietica. Tuttavia la domenica e particolarmente durante le festività religiose migliaia di agenti governativi, appositamente incaricati, o di routine, fingendosi credenti seguono la gente che prega, ascoltano le prediche, osser­vano le processioni. Dopo di che il partito e la Sicurezza dello Stato impartiscono ordini ai dirigenti degli uffici, indicando i dipendenti ancora da « educare ».

 

Risulta più probabile invece un'altra interpretazione, secondo cui la Santa Sede ha concesso il titolo di monsignore a questi sa­cerdoti « ratione Concilii », dal momento che il governo aveva per­messo soltanto a costoro di partecipare al Concilio in veste di « esperti ». (NdT)

 

 

Demolizione della Chiesa

Al fine di distruggere la Chiesa dall'interno, il governo sovietico non si fa scrupolo di ricorrere ai metodi di lot­ta più brutali. I sacerdoti vengono calunniati e accusati di crimini inesistenti. Gli intellettuali che professano pubbli­camente la loro fede, specialmente agli insegnanti, ven­gono licenziati dal lavoro, come è accaduto ad esempio alle insegnanti O. Briliené, A. Kezyté e ad altri. A scuola gli studenti credenti sono obbligati a iscriversi alle organiz­zazioni ateistiche dei pionieri e dei komsomol, a pronunciar­si contro la religione, eccetera.

L'accesso dei nuovi studenti al Seminario ecclesiastico è talmente limitato che ogni anno in Lituania decine di parrocchie restano senza sacerdote perché nel corso di un anno muoiono circa 20 sacerdoti mentre il governo permette soltanto a 10-12 giovani di entrare in Seminario. Tale restrizione riguarda in particolar modo i candidati validi e capaci; e così pure ai sacerdoti più preparati è precluso l'accesso nel corpo docente e alla direzione del Seminario. Le condizioni di vita e di studio dei seminaristi sono tali da suscitare raccapriccio: essi sono persino costretti a pre­gare in una cappella allestita in uno scantinato, dove man­ca l'aria, mentre potrebbero facilmente servirsi della cap­pella della Cattedrale se il governo lo permettesse. Tali condizioni di vita minano la salute di molti chierici.

In un futuro non lontano ci attende la sorte della Bielo­russia e dell'Ucraina. In quest'ultimo paese 5 milioni di cattolici di rito orientale non dispongono ufficialmente di una chiesa, né di un vescovo, né di un sacerdote. In Bielorussia è rimasto soltanto un piccolo gruppo di sacerdoti vecchi e malati. Decine di migliaia di cattolici tedeschi, po­lacchi e di altre nazionalità deportati a Karaganda e inaltre regioni dell'Unione Sovietica non hanno nemmeno il diritto di costruirsi una casa per il culto provvisoria.

I turisti che tornano dopo aver visitato Roma sostengono che i funzionari della Santa Sede consigliano loro di evitare di scontrarsi con il governo sovietico. Noi non sappiamo se questo sia veramente il pensiero della Santa Sede; ma se i sacerdoti tenessero tale atteggiamento, dovrebbero rinunciare a momenti essenziali dell'attività pastorale, ad esempio ad insegnare il catechismo ai bambini. Sarebbero continuamente in conflitto con la loro coscienza, e sarebbero ridotti a « servi del culto », cioè proprio a quello che vuole il governo sovietico.

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Noi siamo profondamente convinti che le nostre condi­zioni di vita siano difficilmente comprensibili all'opinione pubblica occidentale. Infatti, soltanto dopo aver soggior­nato per un certo periodo nel nostro paese e, soprattutto, solo dopo essere stati un po' di tempo nelle camere degli interrogatori e nelle carceri, viene alla luce tutto l'inganno del governo ateista.

Siamo certi che la Santa Sede con la sua attività diplo­matica vuole aiutare sinceramente la Chiesa perseguitata ma che però essendo male informata circa la reale situa­zione in alcuni casi finisce per operare a vantaggio degli ateisti. Perciò noi osiamo ammonire: non credete alle pro­messe del governo sovietico, perché non verranno mantenu­te. Non credete a coloro che giungono ufficialmente dal­l'Unione Sovietica: essi sono più o meno tutti obbligati ad eseguire i compiti assegnati loro dal partito e dalla Sicu­rezza dello Stato.

Imploriamo Dio affinché i suoi nemici non riescano a penetrare nella gerarchia della Chiesa per svolgere la loro opera distruttiva dall'interno. Non vogliamo pensare che i nostri ateisti possano arrivare a gioire sostenendo, con fon­damento, di disporre di elementi a loro ossequienti all'in­terno della suprema gerarchia della Chiesa.

L'attuale persecuzione della Chiesa è nascosta dietro un velo di menzogna e di inganno. Quindi è estremamente violenta la reazione contro coloro che tentano di squar­ciare il velo e di mettere in chiaro le persecuzioni dei credenti. Petras Plumpa, Virgilijus Jaugelis, Juozas Gražys, Nijolė Sadūnaitė ed altri cattolici lituani sono stati dura­mente repressi a causa della LKB KRONIKA, sotto l'accusa di aver calunniato il governo sovietico. Quando nell'ot­tobre 1975 cinque terroristi spagnoli vennero messi a mor­te, un'ondata di proteste si levò da tutto il mondo libero. Viceversa, quando alcune persone sono torturate a causa della verità, per aver chiesto la libertà, per aver difeso le loro convinzioni e gli interessi della Chiesa, le voci di pro­testa sono alquanto flebili e timide. Purtroppo il governo dell'Unione Sovietica vuole proprio questo: il silenzio del­la notte per poter soffocare i cattolici della Lituania. Quel­li che intendono aiutarci e tutti coloro ai quali stanno a cuore la verità e la libertà nell'Unione Sovietica devono oggi cercare di mettere in evidenza con ogni mezzo gli episodi di persecuzione e sforzarsi di strappare il velo del­la menzogna dietro al quale si nasconde la violenza.

Noi editori della LKB KRONIKA Vi preghiamo, Eminenza, a nome di molti sacerdoti, dei credenti e di chi è perse­guitato per la fede, di trasmettere alla Chiesa, al mondo e a tutti gli uomini di buona volontà il nostro grido di aiuto, affinché non siano dimenticati tutti coloro i quali, sull'esempio di P. Plumpa, V. Jaugelis, P. Petronis, J. Gražys, N. Sadūnaitė ed altri, hanno scelto la via crucis nelle baracche dell'arcipelago Gulag per i diritti di Dio e per l'avvenire della Chiesa e del proprio popolo.

Gli editori della LKB KRONIKA

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